«Non può esserci vita solo sulla Terra. Dio è senza limiti». Intervista all’astronomo gesuita Guy Consolmagno

DOMENICA 27 LUGLIO 2014

Vaticano

Letture – Corriere della Sera

(Maria Antonietta Calabrò) «Dio! Dov’è Dio, nel tuo sistema dell’universo?» chiede Sagredo a Galileo nella Vita di Galileo di Bertolt Brecht. E Galileo risponde: «Lassù, no! Allo stesso modo che non sarebbe quaggiù sulla Terra, se gli abitanti di lassù venissero qui a cercarlo!». Sagredo: «E allora dov’è?». Galileo: «Io non sono un teologo! Sono un matematico. (…) In noi, o in nessun luogo!».
Fratel Guy Consolmagno, 61 anni, gesuita, è un astronomo di fama mondiale. E stato appena premiato con la medaglia «Carl Sagan» dalla American Astronomical Society (Aas), che gli ha riconosciuto «una prospettiva originale di scienziato e uomo di fede». La Divisione per le Scienze planetarie dell’Aas, che assegna un solo premio all’anno, lo ha scelto perché «occupa una posizione unica all’interno della nostra professione come portavoce credibile per onestà scientifica nel contesto della fede religiosa». Nel 2000 l’ International Astronomical Union gli ha intitolato un asteroide. Consolmagno è uno dei dodici scienziati della Specola vaticana (diretta dal 2006 dal gesuita argentino padre José Gabriel Funes), una delle più antiche istituzioni di ricerca astronomica del mondo, che ha il suo quartier generale presso le ville pontificie di Castel Gandolfo. Il centro di ricerca, invece, The Vatican Observatory Research Group (Vorg), è negli Stati Uniti, a Tucson, presso lo Steward Observatory dell’Università dell’Arizona, sul Monte Graham. Ecco, lei che è insieme uomo di scienza e di fede ci faccia capire: dov’è Dio nell’universo? «La domanda di Sagredo è una buona domanda: Dio infatti non è in forza della natura, non è la forza della gravità, non è l’elettricità. Pensate all’universo come al gioco del domino: Dio è Colui che ha inventato il domino, ha creato questo universo e continuamente lo sostiene. La creazione di Dio è continuamente efficiente, ed è questa la ragione per cui abbiamo le regole della fisica, come le regole del domino. Dio non è l’impulso iniziale: è fuori dello spazio e del tempo. Dio non conosce il futuro, Dio ricorda il futuro. Ecco qual è la mia risposta su dov’è Dio. Ma lo scienziato deve sapere ammettere anche che non sa. Mentre la religione ha bisogno della scienza per tenere a distanza la superstizione e vicino a sé la realtà, per proteggersi dal creazionismo, che in fondo è una forma di paganesimo, cioè fa del Dio cristiano un dio di natura». Tre mesi fa, Papa Francesco ha detto: «Se domani venisse una spedizione di marziani… Verdi, con quel naso lungo e le orecchie grandi, come vengono dipinti dai bambini… E uno dicesse: “Io voglio il Battesimo!”. Cosa accadrebbe?». Lei che ne pensa? La Nasa ha appena annunciato che potremmo trovare vita extraterrestre tra vent’anni… «La Specola vaticana possiede una delle migliori collezioni di meteoriti al mondo. Il “tesoro” è un meteorite di Nakhla, dal nome della località egiziana in cui è stato trovato nel 1911, e che si crede sia arrivato da Marte. Abbiamo una foto a Castel Gandolfo di Benedetto XVI che lo tiene in mano con un fazzoletto. “L’Osservatore Romano”, il giorno dopo, pubblicò la foto in prima pagina, titolando: “Marte nelle mani del Papa”. Anche Papa Francesco nell’estate del 2013, quando è stato per Ferragosto a Castel Gandolfo, si è interessato a un meteorite caduto in Argentina. I meteoriti vengono studiati anche per cercare tracce di vita extraterrestre ». Ma l’esistenza di vita intelligente fuori dalla Terra non contraddice la Bibbia? «L’idea che nello spazio ci siano altre forme di vita intelligente non è in contrasto con il pensiero tradizionale cristiano. Per noi credenti, lo studio dell’universo è una meravigliosa avventura che ci riempie di stupore. Non possiamo pensare che Dio sia così limitato da aver creato esseri intelligenti solo sulla Terra. L’universo potrebbe benissimo contenere altri mondi con esseri creati dal suo stesso amore». C’è un legame speciale tra i gesuiti e l’astronomia, non è così? «La tradizione risale già al Seicento. Presso il Collegio romano, fondato da Sant’Ignazio, i gesuiti accolsero con grande interesse l’invenzione del telescopio. Il matematico gesuita Cristoforo Clavio che insegnò per tutta la vita al Collegio romano, era uno dei più autorevoli astronomi dei tempi di Galileo, che gli ha fatto visita nel 1611 per discutere con lui le osservazioni eseguite con il telescopio. Nell’Ottocento, al Collegio romano ha insegnato un altro gesuita, Angelo Secchi che ha fondato la scienza della spettroscopia stellare, ossia lo studio della composizione chimica delle stelle attraverso la lettura dello spettro elettromagnetico. La spettroscopia è uno dei settori di ricerca più importanti alla Specola vaticana. E dal 1910 i gesuiti hanno avuto “l’esclusiva” della direzione della Specola». Perché lei, che era già prima un illustre scienziato, poi ha deciso di entrare tra i gesuiti, anche se non è sacerdote? «Perché posso dubitare dell’esistenza di Dio, come tutti, ma c’è un unico punto certo nella mia vita: che Dio mi ha chiamato. Questo è avvenuto 25 anni fa, avevo già 36 anni, ed ero troppo vecchio per iniziare a studiare da prete. Comunque, secondo me, solo nella Chiesa si può fare una buona scienza, una ricerca libera che non persegua soldi o fama, che sia una pura ricerca. Leone XIII, riprendendo una tradizione iniziata appunto con i gesuiti, nel Seicento, ri-fondò la Specola collocando il suo primo telescopio, l’astrografo sull’antica torre di Leone IV in Vaticano, per reagire alle accuse rivolte alla Chiesa di essere nemica del progresso scientifico. E aveva ragione». Ma non c’è un’orribile contraddizione tra lo studio delle stelle e la condizione umana di chi muore di fame? «Me lo sono chiesto anch’io. E quando studiavo al Mit, per alcuni anni, ho abbandonato la ricerca, sono entrato nell’Us Peace Corp e sono andato in Africa. Lì però mi hanno chiesto di insegnare proprio l’astronomia. Avevo un piccolo telescopio, ero in Kenya e tutti volevano vedere le stelle. Esprimevano stupore. Questa sorpresa, questa gioia è propria dell’essere umano. Anche i poveri hanno diritto a guardare le stelle. Il cielo appartiene a tutti e ricorda che ci sono cose più importanti di quelle mondane. La fame di cibo è disumana anche perché toglie quest’altra fame, la fame della bellezza, della gioia, della ricerca. La fame di Dio. Il percorso umano inizia veramente, come ricorda Dante, quando usciamo dall’inferno e torniamo “a riveder le stelle”».
Letture – Corriere della Sera

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