Alla ricerca della materia oscura

La materia oscura si manifesta attraverso i suoi effetti gravitazionali: non la vediamo direttamente. Se non ci fosse non esisterebbero le galassie così come le conosciamo, le stelle vagherebbero per lo spazio e probabilmente non esisteremmo nemmeno noi.

È cinque volte più abbondante della materia ordinaria: non si “vede”, ma se non ci fosse non ci sarebbero i suoi effetti gravitazionali. La sua natura è ignota, ma gli scienziati ritengono di essere vicini a una svolta per comprenderla: ecco la storia in cinque capitoli di questa caccia al tesoro scientifica.

Nell’immagine: mappa 3D della distribuzione di materia oscura, elaborata su misure del telescopio Hubble sulla distorsione gravitazionale debole (weak gravitational lensing), un metodo che permette di dedurre la massa di oggetti astronomici senza conoscere la loro composizione o il loro stato dinamico.

L’idea di una materia oscura (invisibile e di natura ignota) comincia a fare capolino nei calcoli degli scienziati nel 1933, quando l’astronomo Fritz Zwicky si rende conto che la forza di gravità esercitata dalla materia visibile negli ammassi galattici della Chioma e della Vergine non è sufficiente a tenerli insieme. Doveva quindi esserci qualcos’altro, qualcosa di non visibile ma in grado di esercitare l’attrazione gravitazionale “mancante” per fare quadrare i conti.

Nella foto: l’ammasso di galassie Abell 520, nella costellazione di Orione, è un mistero nel mistero. In base ai calcoli, in questa zona dell’Universo la materia oscura sarebbe concentrata nelle aree meno “popolate” di galassie, in contrasto con le nostre attuali conoscenze.

Lo strumento dal quale potrebbe arrivare una risposta sulla natura materia oscura è l’LHC di Ginevra, che attualmente è l’acceleratore di particelle più grande e potente del mondo.

Qui gli scienziati sperano di individuare leWIMP (Weakly Interacting Massive Particle), principali candidate a spiegare la materia oscura non-barionica (ossia composta da materia differente da quella abituale, barionica). Le WIMP sarebbero (ipotetiche) particelle dotate di massa che interagiscono con la materia normale solo tramite la gravità e la forza nucleare debole.

La caccia alla materia oscura viene effettuata anche per via indiretta, per esempio studiandone gli effetti collaterali. Diversi esperimenti stanno cercando di osservare, in superficie e sottoterra, scontri tra WIMP e materia ordinaria.

Nella foto, IceCube: il gigantesco rivelatore di neutrini costruito in Antartide dai ricercatori dell’università del Winsconsin, composto da una miriade di sensori annegati in 1 km cubo di ghiaccio.

Gli scienziati cercano la materia oscura anche osservando i suoi effetti diretti, per esempio come la sua gravità sia in grado di deviare la luce, come in un grande prisma cosmico.

Un team di ricercatori del National Astronomical Observatory, in Giappone, sta analizzando queste deformazioni ottiche per creare la prima mappa della materia oscura, che dovrebbe essere completata entro il 2019 e che mostrerà come è distribuita la nell’Universo e con quale densità.

Nell’immagine: prime indicazioni sulla distribuzione della materia oscura in un piccolo arco di volta celeste, pubblicate dai ricercatori giapponesi all’inizio di luglio.

L’individuazione della materia oscura sarà comunque solo un primo passo verso la comprensione di come funziona l’Universo. Secondo gli scienziati la combinazione di materia ordinaria e materia oscura riesce infatti a spiegare solo un 30% di ciò che c’è là fuori, nello spazio. Che cos’è il resto?

Potrebbe essere energia oscura, una forma di energia non direttamente rilevabile e sulla quale sappiamo ancora meno che sulla materia oscura. Sarà questa la prossima caccia al tesoro scientifica.

Nell’immagine: in questa elaborazione della NASA l’energia oscura è rappresentata dalla griglia viola e la gravità (con effetti evidenti ma localizzati) dalla griglia verde.

Misteri della scienza: le domande senza risposta

Esiste un solo Universo? Che senso ha il male? Perché E.T. non risponde? Domande senza risposta – e che generano sempre nuovi dubbi – illustrate in un imperdibile TED video.

L’umanità ha fatto passi da gigante nella conquista della conoscenza. Ma più avanziamo nel sapere, più ci rendiamo conto di quanto poco riusciamo ad afferrare dell’Universo e dei suoi misteri. In questo TED-Ed video, un filmato della serie Educational dei video TED, il dirigente di TED, Chris Anderson, parla dell’ossessione che aveva, da bambino, per le domande senza risposta.

 

SO DI NON SAPERE. Col tempo, anziché diminuire, i dilemmi sono aumentati. Con il tempo si impara che a volte, anziché sforzarsi di trovare risposte, vale la pena concentrarsi sulle domande: il futuro è già scritto (e noi non riusciamo a vederlo)? Esiste il libero arbitrio? Che cos’è la coscienza? I robot ne avranno mai una? Esiste un Dio? Se sì, come possiamo essere certi che sia un uomo, e non una donna? Quanti Universi ci sono? E perché, nonostante il gran numero di esopianeti scoperti, non riusciamo a trovare traccia di alcuna civiltà aliena?

 

05 NOVEMBRE 2015 | ELISABETTA INTINI

Parla il direttore del Seti: se ETI ci contatta, è il caos!

Un preciso protocollo regola tutto ciò che deve essere fatto, nel caso arrivi un messaggio alieno. Nessuno mai lo rispetterà.

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Il segnale “wow!” è stato rilevato dall’astronomo Jerry Ehman il 15 agosto 1977 dal radiotelescopio Big Ear dell’università dell’Ohio: le sue caratteristiche lasciavano intendere una provenienza esterna alla Terra e al Sistema Solare. Durato 72 secondi, il segnale non fu mai più rilevato in seguito.

E se un messaggio da E.T. dovesse arrivare per davvero? Se degli extraterrestri, volontariamente o involontariamente, ci facessero arrivare un segno della loro esistenza, che cosa dovrebbe fare chi lo riceve?

 

Pochi sanno che (tanto per cominciare) E.T. è in realtà ETI (Extraterrestrial Intelligence) e che, soprattutto, c’è un preciso protocollo a cui tutti dovrebbero attenersi, stilato dal Seti, il Search for Extraterrestrial Intelligence, l’ente mondiale che si occupa in modo scientifico di rilevare le onde radio che arrivano dall’Universo per individuare eventuali segnali di vita intelligente.

 

Cosa dovrebbe fare un ricercatore se dovesse avere la certezza che nel suo laboratorio è arrivato un segnale alieno? | ALI RIES

CHE FARE? Il protocollo prevede, tra l’altro, che vi sia un primo, attento riesame del segnale per avere la certezza assoluta che sia davvero intelligente e davvero alieno. Poi che si avvisino diversi centri di ricerca sparsi nel mondo per verificare se hanno rilevato il segnale e per fare gli indispensabili controlli in modo indipendente.

 

Se tutti i responsi sono positivi, allora sì, è primo contatto! A quel punto lo scopritore lo scopritore deve informare gli osservatori di tutto il mondo attraverso il Central Bureau for Astronomical Telegramsdell’Unione Astronomica Internazionale, e anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Dopo, la notizia può essere data al mondo, ma, in ogni caso, nessuno dovrebbe prendersi la briga di rispondere a ETI finché l’umanità non abbia deciso in modo corale cosa e se rispondere.

È questo quello che succederà?

ANNO 1977… «Non penso proprio» afferma Seth Shostak, direttore del Seti, in un’intervista alla rivista All About Space. «E il motivo è molto semplice: se dovesse arrivare un segnale anche solo vagamente alieno, succederebbe che l’uomo del momento chiamerebbe gli altri osservatori gridando eccitato “hei, l’avete sentito?”… Poi partirebbero immediatamente sms ad amici e fidanzate, qualcuno lo metterebbe subito nel proprio blog e partirebbero i tweet. Il mondo lo saprebbe prima del Segretario Generale delle Nazioni Unite! Del resto abbiamo già vissuto una situazione del genere, nel 1977, quando neppure c’erano internet, sms, tweet e facebook: qualcuno aveva interpretato un segnale come “interessante” e nell’arco di poche ore ero assediato dai giornalisti del New York Times: chi li aveva avvisati?»

 

Il “messaggio di Arecibo” è un segnale radio trasmesso dal radiotelescopio di Arecibo, in Porto Rico, il 16 novembre 1974. È stato indirizzato verso l’ammasso globulare di Ercole (M 13), a 25.000 anni luce da noi.

 

ALLORA COSA? Se mai dovessimo avere delle certezze sulla provenienza di uno specifico segnale, allora «bisognerebbe puntare in quella direzione tutti i telescopi e i radiotelescopi del pianeta» afferma Shostak.

 

Ma dovremmo rispondere? «L’arrivo di un segnale confermato sarà una tentazione irresistibile, e sarebbe difficile impedirlo. D’altra parte, di segnali nello spazio ne abbiamo già inviati molti, alcuni anche di forte intensità. Forse dovremmo invece discutere di che cosa raccontare: solo quello che ci fa piacere dire di noi o tutto quanto, compreso quello di cui ci vergogniamo?»

 

 

PARTIAMO! A quel punto potremmo anche pensare di mandare una spedizione. «Sono certo che se ne discuterà a lungo, soprattutto se l’origine è relativamente vicina. Tuttavia… Con i nostri mezzi attuali ci vogliono milioni di anni per raggiungere un pianeta entro i 50 anni luce». Dovrebbe perciò essere una cellula della nostra civiltà, destinata a svilupparsi e moltiplicarsi nello spazio e consapevole dell’impossibilità di tornare. Quanto al quando si prevede di ricevere un messaggio dallo Spazio, «se proprio devo scommetteci un caffè, direi entro due dozzine di anni».

 

Perfetto, abbiamo ancora tempo per decidere.

06 DICEMBRE 2015 | LUIGI BIGNAMI

Dove sono gli extraterrestri?

100.000 galassie studiate all’infrarosso a caccia di tracce di civiltà aliene. E… nulla! Se esistono, vivono senza consumare energia!

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Dove sono tutti quanti?

Li hanno cercati in 100.000 galassie e anche di più! Ma nulla, proprio nulla: nessun segno di civiltà extraterrestri avanzate è stato rilevato. Lo affermano i ricercatori della Penn University, che hanno utilizzato il telecopio all’infrarosso Wise, della Nasa.

 

«L’idea della nostra ricerca», ha spiegato Jason Wright, portavoce del gruppo, »è che se una civiltà molto avanzata ha colonizzato un’intera galassia – e dati statistici dimostrano che è uno scenario possibile in un arco di pochi milioni di anni – l’energia prodotta dalle tecnologie utilizzate dovrebbe essere rilevabile nel medio infrarosso, che è proprio la lunghezza d’onda che meglio di altre rileva Wise.» Questa specifica radiazione è frutto di emissioni di energia che non sono visibili con i telescopi ottici né con i radiotelescopi.

 

Se l’Universo brulica di alieni… dove sono tutti quanti?
(dal paradosso di Fermi)

 

TRA MILIONI E MILIONI DI MONDI… Nel 1960 il fisico teoricoFreeman Dyson ipotizzò che l’esistenza di civiltà extraterrestri lontane da noi potrebbe essere rilevata proprio osservando nell’infrarosso, ma simili ricerche si sono potute realizzare solo ai nostri giorni, grazie ai telescopi che scandagliano tale lunghezza d’onda.  «Il nostro lavoro», spiega Roger Griffith, coautore della ricerca, «è iniziato cercando galassie negli oltre 100 milioni di oggetti rilevati da Wise, all’interno dei quali abbiamo individuato circa 100.000 candidati. Tra questi, circa 50 hanno mostrato una forte emissione nel medio infrarosso.»

 

Se una civiltà extraterrestre avesse colonizzato una galassia utilizzerebbe così tanta energia che le emissioni all’infrarosso sarebbero rilevabili anche da noi.

 

TUTTO NATURALE! Ma le successive analisi hanno permesso di stabilire che le emissioni derivavano da fenomeni naturali. «Il risultato è interessante», continua Griffith, «perché molte delle galassie studiate hanno età di miliardi di anni, e quindi al loro interno ci sarebbe stato tutto il tempo affinchè civiltà molto avanzate possano essersi sviluppate. Le nostre conclusioni sono che o civiltà avanzate non esistono, oppure che se esistono non sono così avanzate da emettere quantità di energia significative.» Il lavoro comunque è solo agli inizi e deve ancora essere affinato prima di trarre conclusioni definitive.

 

Gli umani sono la sola civiltà tecnologicamente avanzata dell’Universo?

 

La nebulosa 48 Librae, visibile nella luce ordinaria. Ma all’infrarosso mostra elementi nuovi.

 

SORPRESA! Lo studio ha comunque permesso di scoprire elementi inaspettati, pur del tutto naturali, nella nostra galassia, la Via Lattea. Un esempio è la scoperta di stelle molto giovani nella nebulosa 48 Librae, la quale, osservata nel visibile, mostra solo una stella circondata da una nube di polveri. In realtà in quella nube vi sono stelle che stanno nascendo e che andrebbero meglio studiate.

15 APRILE 2015 | LUIGI BIGNAMI

Il paradosso di Fermi: dove sono gli alieni?

Due animazioni video illustrano il paradosso di Fermi: se l’Universo brulica di vita, dove sono tutti?

Nell’Universo conosciuto esistono almeno 100 miliardi di galassie, contenenti ciascuna 100-1000 miliardi di stelle. In base a quanto sappiamo degli esopianeti, ne esistono trilioni e trilioni di potenzialmente abitabili: grandi numeri che fanno pensare che non siamo soli, nel cosmo.

 

C’È NESSUNO? Ma allora, dove sono tutti? Queste due animazioni – in inglese con sottotitoli in italiano – esplorano in modo semplice e immediato le basi del paradosso di Fermi, l’apparente contraddizione (la cui formulazione non ufficiale è comunemente attribuita al fisico italiano Premio Nobel) tra l’alta probabilità che la nostra non sia la sola civiltà evoluta nell’Universo e la mancanza di contatti stabiliti con eventuali altre forme di vita.

 

NESSUNA RISPOSTA. Il primo video, che vedete in apertura, spiega in che cosa consiste il paradosso. Se anche solo lo 0,1% di pianeti della Via Lattea ospitasse la vita, ci sarebbero 1 milione di pianeti abitati nella nostra galassia. Come interpretare allora il fatto che non abbiamo mai incontrato E.T.? Siamo una circostanza più fortunata di quanto si pensi? Esistono “filtri” che ci precludono la conoscenza di altre forme di vita? O siamo realmente soli?

 

La seconda animazione, che vedete qui sotto, propone alcune possibili soluzioni al paradosso di Fermi. Entrambi i video sono stati realizzati dallo studio di design tedesco Kurzgesagt, specializzato in progetti di divulgazione.

 

 

 

24 GIUGNO 2015 | ELISABETTA INTINI

Progetto Last Picture: cosa sapranno di noi gli alieni

Dal 1957 – quando l’Unione Sovietica lanciò nello spazio il primo Sputnik – ad oggi l’uomo ha parcheggiato attorno alla Terra oltre 800 diversi satelliti artificiali, una vera e propria cintura di macchine in orbita geostazionaria attorno al nostro pianeta destinata a diventare la traccia più longeva della nostra presenza nell’Universo. Questi satelliti infatti, con tutta probabilità, sopravviveranno molto più a lungo del genere umano e testimonieranno la nostra esistenza ad altre eventuali creature venute da mondi lontani.
E così Trevor Paglen, trentottenne artista americano, ha deciso di lasciare una traccia indelebile della nostra civiltà ai potenziali futuri visitatori in arrivo dallo spazio dopo la scomparsa dell’uomo. Dopo cinque anni di lavoro e decine di interviste a scienziati, antropologi e filosofi, Paglen ha selezionato 100 immagini particolarmente rappresentative della nostra civiltà e le ha cesellate su un disco di silicio placcato in oro destinato a durare miliardi di anni.
L’opera è stata montata all’esterno del satellite per telecomunicazioni EchoStar XVI che sarà lanciato nello spazio dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, il prossimo 20 novembre.
Volete sapere cosa sapranno di noi gli alieni tra qualche miliardo di anno? Ve lo raccontiamo in questa fotogallery, dove vi presentiamo una selezione delle immagini che stanno per andare nello spazio.| NASA/CARLA CIOFFI

Breakthrough Listen cerca nello Spazio segnali alieni

100 milioni di dollari per cercare segnali alieni tra 1 milione di stelle: al via il più ambizioso progetto di ricerca extraterrestre mai varato. Se ci sono, gli alieni, così li troveremo.

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Da oltre 50 anni si cercano, invano, messaggi alieni. Un nuovo super progetto potrebbe finalmente ottenere un risultato.

Riparte in grande stile la caccia agli alieni grazie a Yuri Milner, fondatore della Breakthrough Prize Foundation, il quale ha messo sul piatto 100 milioni di dollari per un progetto della durata di 10 anni,Breakthrough Listen, gestito dalla University of California (Berkeley, Usa).

 

Il progetto di Milner ha sostenitori eccellenti: Stephen Hawking,Martin Rees (presidente della Royal Sciety), Frank Drake, che insieme a Carl Sagan ha fondato il Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence), il progetto globale che si propone di ascoltare le profondità del cielo alla ricerca di segnali intelligenti, Geoff Marcy, ilcacciatore di esopianeti.

 

I 100 milioni di dollari finanzieranno l’utilizzo i radiotelescopi da 100 metri di Green Bank (Usa) – il più grande al mondo completamente movimentabile – e quello da 64 metri di Parkes (Australia). Nel decennio a venire si monitoreranno un milione di stelle vicino al Sole oltre che vari sistemi stellari in 100 galassie.

 

Il radiotelescopio di Green Bank, nella West Virginia (Usa). | INAF

 

50 VOLTE PIÙ SENSIBILE. I numero danno un’idea della dimensione del progetto, che risulta essere il più imponente programma scientifico mai intrapreso per la ricerca di segnali di intelligenza aliena. I due radiotelescopi consentiranno di esplorare un’area di cielo 10 volte maggiore rispetto a qualunque altro programma precedente, con una “sensibilità” 50 volte superiore.

 

Il radiotelescopio Parkes, in Australia. | CIRO

 

Tony Beasley, direttore del National Radio Astronomy Observatory, ha dichiarato: «Iniziando subito e potendo dedicare al progetto il 20% del tempo di lavoro dell’osservatorio di Green Bank, nell’arco di un anno avremo sondato un impressionante numero di stelle e galassie».

 

I fondi permetteranno di utilizzare anche l’Automated Planet Finder Telescope (California) per fare ricerche nel campo dell’ottico, ossia di segnali eventualmente inviati via laser. Stando ai ricercatori, sequalcuno nel cosmo dovesse aver lanciato segnali con la potenza di un comune radar aereo, i radiotelescopi – se orientati in quella direzione – saranno in grado di captarli.

 

Come appare su un normale pc il software di Seti@home, che permette a chiunque di contribuire alla ricerca di segnali alieni. | SETI@HOME

 

SETI@HOME Breakthrough Listen, infine, sosterrà un altro importante e storico progetto della University of California, il SETI@home. Si tratta di un immenso lavoro supportato da oltre 9 milioni di volontari di tutto il pianeta (chiunque può partecipare!), i quali consentono a uno speciale software l’utilizzo dei tempi morti dei loro computer per elaborare l’immensa mole di dati astronomici che arrivano dai vari radiotelescopi, al fine di cercare segnali di altre intelligenze.

 


VEDI ANCHE

 

 

 

21 LUGLIO 2015 | LUIGI BIGNAMI

Alla ricerca degli alieni

Il nuovo programma di ricerca del SETI: in ascolto di 20.000 stelle più piccole e fredde del Sole. Ecco perché.

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L’alieno Paul, protagonista dell’omonimo film di Gregg Mottola (2011).

Il SETI Institute avvia un nuovo programma di ascolto di segnali radio strutturati, che possono cioè essere indizio della presenza di vita extraterrestre intelligente: nei prossimi due anni scandaglierà le zone di Spazio di 20.000 stelle nane rosse.

 

«Le nane rosse, stelle relativamente piccole e fredde, hanno finora ricevuto scarsa attenzione in queste ricerche», fa notare Jon Richards, ingegnere del SETI, «perché l’ipotesi prevalente è sempre stata quella che avremmo potuto trovare tracce di altre specie intelligenti su pianeti orbitanti attorno a stelle simili al Sole, che è invece una nana gialla.»

Un’ipotesi sostenuta dal fatto che la zona abitabile di una nana rossa è di gran lunga più ristretta rispetto a quella di una stella del tipo del Sole. Si è anche sempre pensato che i pianeti di una nana rossa orbitano talmente vicini alla loro stella da entrare, in tempi più o meno brevi, in rotazione sincrona, ossia con un emisfero perennemente rivolto alla stella (come la Luna rispetto alla Terra): sarebbero perciò straordinariamente caldi da una parte e altrettanto freddi dall’altra. Difficile ipotizzare la vita, in quelle condizioni.

 

Tuttavia studi recenti suggeriscono che, in presenza di oceani e atmosfera, il calore può essere trasportato dal lato esposto a quello nascosto, mantenendo abitabile una frazione significativa del pianeta.

Ancora più rilevante ai fini di questa ricerca è il fatto che le osservazioni suggeriscono che un numero significativo di nane rosse possiede pianeti nella zona abitabile. La stima, abbastanza incerta perché va “da un sesto alla metà”, è comunque paragonabile e persino superiore a quella che si può attualmente fare per stelle simili al Sole.

 

 

Non è tutto: le nane rosse sono la tipologia stellare più diffusa nell’Universo. «Almeno tre quarti di tutte le stelle note sono nane rosse», afferma Seth Shostak, astronomo del SETI: «questo significa anche che scandagliandone un determinato insieme – diciamo le 20.000 più vicine – nella media si troveranno alla metà della distanza del più vicino insieme di 20.000 stelle come il Sole», e stelle più vicine implica (eventuali) segnali radio più forti. In più, si stima che le nane rosse abbiamo una vita media superiore all’attuale età dell’Universo: tutte quelle che si sono formate sono ancora attive e in salute.

 

Si pensa insomma che possano vivere miliardi di anni più di qualunque nana gialla: «È uno di quei casi in cui “vecchio è meglio”», commenta Shostak, «perché i sistemi solari più vecchi hanno avuto più tempo per permettere alla vita intelligente di svilupparsi».

La ricerca sarà condotta dall’Allen Telescope Array del SETI (Cascade Mountains, California), un sistema di 42 antenne che può tenere sotto osservazione tre stelle contemporaneamente. «Scandaglieremo ogni sistema stellare per diverse bande di frequenza, tra 1 e 10 GHz», spiega Gerry Harp, ricercatore al SETI. «La metà circa delle frequenze monitorate corrisponde a “frequenze magiche”, cioè direttamente correlabili a costanti matematiche di base: è ragionevole ipotizzare che eventuali extraterrestri potrebbero generare segnali a frequenze speciali per attirare l’attenzione.»

 

31 MARZO 2016 | RAYMOND ZREICK